CINEMA E TV
Nato nel paese di Tornatore, la Sicilia è in tutti i suoi film: chi è Paolo Pintacuda
Sceneggiatore e scrittore, cinquantadue anni, premio Solinas nel 2010 per la sceneggiatura di “Scuru”, di recente al lavoro su “Storia d’amore di un uomo che balla”
Paolo Pintacuda (foto di F. Domilici)
C’è una Sicilia lontana nel tempo, nascosta negli spazi che non esistono più (o non esisteranno più, in un futuro non troppo distante), ed è una terra d’immaginazione che seduce e attrae nelle sue lande diversi autori. Uno di loro è Paolo Pintacuda, sceneggiatore e scrittore nato e cresciuto a Bagheria, cinquantadue anni, premio Solinas nel 2010 per la sceneggiatura di “Scuru”, di recente al lavoro su “Storia d’amore di un uomo che balla”, il film di Cosimo Gomez, con Giuseppe Lo Piccolo e Anita Pomario, che si è girato a Palermo nelle ultime settimane e in Cile nei mesi passati.
Figlio di Mimmo Pintacuda (il fotografo bagherese e proiezionista su cui Giuseppe Tornatore basò il personaggio di Alfredo nel suo film premio Oscar, “Nuovo cinema Paradiso”), Paolo Pintacuda dell’isola in cui vive ama raccontare «quello che non riesci più a vedere, l’aspetto immaginario e immaginifico. I romanzi che ho scritto (i più recenti sono "Jacu", datato 2022, e “L’eroe di Paternò”, uscito nel 2015) sono opere storiche ambientate in Sicilia – racconta l’autore – che parlano di una Sicilia che non c’è più, una Sicilia quasi da leggenda, anche se poi il riferimento storico è preciso e tangibile.
Ci sono delle cose dell’isola, che ricordo da quand’ero bambino, che non vedo più, non riconosco più, sono rimaste soltanto nella mia memoria, è la Sicilia più lontana, che ti riporta a dei profumi, dei sapori, a luoghi che ora sono scomparsi. La Sicilia purtroppo ha subìto una violenza anche paesaggistica, mi riferisco proprio all’antropizzazione, l’effetto che l’uomo ha sui luoghi, in Sicilia siamo stati purtroppo “attentissimi” (ride, ndr.) a distruggere tutta la bellezza che avevamo. Quello che cerco di fare nei miei romanzi è recuperare quella bellezza che è rimasta soltanto nei ricordi dei nostri genitori e dei nostri nonni».
Del resto, come precisa Pintacuda, bisogna «scrivere di ciò di cui si ha conoscenza. Mi ricordo che una volta chiesero a Giuseppe Tornatore, mentre presentava “L’uomo delle stelle” al festival di Venezia, perché scrivesse sempre cose sulla Sicilia. Lui era al terzo o quarto film, la sua sicilianità era già riconoscibilissima, e rispose: «Anche se dovessi fare un film ambientato sulla Luna, ci sarebbe sempre un riferimento alla Sicilia”». E allora ecco che non poteva non servire la penna di Pintacuda per adattare in Sicilia il romanzo breve di Hernán Rivera Letelier, "Historia de amor con hombre bailando" in "Storia d’amore di un uomo che balla".
Nella sua versione letteraria, la storia si svolge interamente in Cile, mentre il film – prodotto da Tramp Limited, Quality Films e 17 Films con il contributo del Ministero della cultura e della Sicilia Film Commission – racconta la vita di Ferdinando Nobile, un siciliano (interpretato da Giuseppe Lo Piccolo) che emigra in Cile insieme alla moglie (interpretata da Anita Pomario).
«Con Cosimo ci siamo conosciuti un paio d’anni fa – racconta lo sceneggiatore – e abbiamo cominciato a lavorare assieme alla stesura della sceneggiatura. Abbiamo trasformato il Fernando del romanzo di Letelier in un siciliano che poi emigra in Cile a cavallo tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta. Adattare un romanzo è sempre qualcosa che ti porta a dover fare delle scelte. Come dicevano i fratelli Taviani, “A volte è sempre meglio tradire il testo da cui parti per poi accorgerti che gli sei stato fedelissimo”. Le coordinate da cui siamo partiti sono state quelle del personaggio di Ferdinando Nobile, a cui volevamo dare un’identità siciliana chiara, un’eleganza che aveva già nel romanzo, non allontanandoci quindi troppo dalla spina dorsale dell’opera di Letelier. L’incastro che è venuto fuori, tra cultura siciliana e cultura cilena, è uscito molto bene».
In tempi più recenti, Paolo Pintacuda s’era cimentato a scrivere le sceneggiature (insieme a Ignazio Rosato, Roberto Anelli e Roberto Lipari) dei due film di Roberto Lipari, "Tuttapposto" (2019) e "So tutto di te" (2023), ma prima ancora, nel 2015, fu lui ad adattare per lo schermo, insieme a Federico Cruciani, Giacomo Cacciatore e Josella Porto il romanzo di Giacomo Cacciatore, "Figlio di vetro". Da una parte il cinema, con le sue regole, i suoi codici, le immagini che sovrastano la parola; dall’altra la narrativa, che non ha strumenti diversi dalla parola, o dalla sua assenza, per far imprimere le sue scene nella mente dei lettori.
«Entrambe le forme di scrittura mi rappresentano – dice Pintacuda, che oltre a essere sceneggiatore ha scritto diversi romanzi – e quello che cambia è semplicemente, scusa il gioco di parole, la forma. Sono due scritture parallele e complementari, anche se la scrittura per il cinema è comunque una scrittura di servizio, tu scrivi un film che poi qualcun altro s’occuperà di mettere in scena, qualcun altro lo reciterà, lo produrrà. La struttura narrativa ti dà una libertà che la scrittura cinematografica forse non può darti, perché in un romanzo ti puoi permettere di fare un’introspezione che nel cinema non puoi fare.
Quando si scrive per il cinema si fa sempre per immagini, ogni scena è scritta perché dev’essere filmabile, nella narrativa puoi penetrare i pensieri del personaggio, fare lunghe divagazioni, ellissi, o produrre uno spazio così ampio di narrazione che poi ti completa un intero capitolo. C’è una libertà espressiva e di movimento, in questo, che la scrittura per il cinema non potrà inevitabilmente dare mai, anche per esigenze di lunghezza di una sceneggiatura».
Eppure, la sua è una scrittura – anche quando si muove nelle distese sconfinate della letteratura – che è «inevitabilmente legata al cinema». “L’eroe di Paternò”, il suo penultimo romanzo, basato sulla rivolta del sette e mezzo di Palermo, «è molto cinematografico, idem per “Jacu”, scrivo per immagini molto spesso, e ho pensato a delle trasposizioni cinematografiche dei miei romanzi, solo che il passaggio non è così immediato e facile. Già solo il fatto che sono romanzi storici fa lievitare i costi in modo esponenziale, però mai dire mai. Le mie rarissime incursioni alla regia si sono limitate a due documentari, uno sulla storia di Bagheria, del ’95, appena ventunenne, e un altro, a cui sono più legato, che è quello su mio padre. Non so se farò altre regie in futuro».
Ma di sicuro ci sono altri romanzi e altre sceneggiature per film che stanno per uscire dalla penna di Pintacuda. «Ci sono un po’ di cose – racconta lo sceneggiatore – come un romanzo in fase di scrittura, da un po’ di tempo… e poi altri progetti cinematografici in cantiere. Sai qual è la cosa particolare? Nel momento in cui “Storia d’amore di un uomo che balla” uscirà in sala, per me sarà già una cosa passata. Lo è in parte già adesso che lo stanno girando, io ho scritto la sceneggiatura diverso tempo fa.
Poi è vero che non ci smetti di lavorare del tutto perché una cosa magari va sistemata per andare incontro, non so… a un cambio di location, però sei già passato ad altro, stai sviluppando un altro film, un altro romanzo… ultimamente mi sto avvicinando a raccontare cose successe in tempi più recenti.
“L’eroe di Paternò” era ambientato nel 1866, “Jacu” tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale, adesso mi piacerebbe raccontare qualcosa di temporalmente più vicino. Però il riferimento a un tempo lontano, fuori dai ricordi nostri, permette di avere più movimento, di spaziare anche su racconti leggendari che i tempi più recenti non ti permettono di avere. È un po' come in “The Crown”, la serie sulla famiglia reale britannica.
Le prime stagioni, a mio avviso, sono molto interessanti perché raccontano un periodo storico lontano dal nostro, l’ultima stagione, legata a fatti più recenti, secondo me funziona meno. Proprio perché sono cose che abbiamo avuto sott’occhio dalla cronaca, è come se fossero già state raccontate…».
Figlio di Mimmo Pintacuda (il fotografo bagherese e proiezionista su cui Giuseppe Tornatore basò il personaggio di Alfredo nel suo film premio Oscar, “Nuovo cinema Paradiso”), Paolo Pintacuda dell’isola in cui vive ama raccontare «quello che non riesci più a vedere, l’aspetto immaginario e immaginifico. I romanzi che ho scritto (i più recenti sono "Jacu", datato 2022, e “L’eroe di Paternò”, uscito nel 2015) sono opere storiche ambientate in Sicilia – racconta l’autore – che parlano di una Sicilia che non c’è più, una Sicilia quasi da leggenda, anche se poi il riferimento storico è preciso e tangibile.
Ci sono delle cose dell’isola, che ricordo da quand’ero bambino, che non vedo più, non riconosco più, sono rimaste soltanto nella mia memoria, è la Sicilia più lontana, che ti riporta a dei profumi, dei sapori, a luoghi che ora sono scomparsi. La Sicilia purtroppo ha subìto una violenza anche paesaggistica, mi riferisco proprio all’antropizzazione, l’effetto che l’uomo ha sui luoghi, in Sicilia siamo stati purtroppo “attentissimi” (ride, ndr.) a distruggere tutta la bellezza che avevamo. Quello che cerco di fare nei miei romanzi è recuperare quella bellezza che è rimasta soltanto nei ricordi dei nostri genitori e dei nostri nonni».
Del resto, come precisa Pintacuda, bisogna «scrivere di ciò di cui si ha conoscenza. Mi ricordo che una volta chiesero a Giuseppe Tornatore, mentre presentava “L’uomo delle stelle” al festival di Venezia, perché scrivesse sempre cose sulla Sicilia. Lui era al terzo o quarto film, la sua sicilianità era già riconoscibilissima, e rispose: «Anche se dovessi fare un film ambientato sulla Luna, ci sarebbe sempre un riferimento alla Sicilia”». E allora ecco che non poteva non servire la penna di Pintacuda per adattare in Sicilia il romanzo breve di Hernán Rivera Letelier, "Historia de amor con hombre bailando" in "Storia d’amore di un uomo che balla".
Nella sua versione letteraria, la storia si svolge interamente in Cile, mentre il film – prodotto da Tramp Limited, Quality Films e 17 Films con il contributo del Ministero della cultura e della Sicilia Film Commission – racconta la vita di Ferdinando Nobile, un siciliano (interpretato da Giuseppe Lo Piccolo) che emigra in Cile insieme alla moglie (interpretata da Anita Pomario).
«Con Cosimo ci siamo conosciuti un paio d’anni fa – racconta lo sceneggiatore – e abbiamo cominciato a lavorare assieme alla stesura della sceneggiatura. Abbiamo trasformato il Fernando del romanzo di Letelier in un siciliano che poi emigra in Cile a cavallo tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta. Adattare un romanzo è sempre qualcosa che ti porta a dover fare delle scelte. Come dicevano i fratelli Taviani, “A volte è sempre meglio tradire il testo da cui parti per poi accorgerti che gli sei stato fedelissimo”. Le coordinate da cui siamo partiti sono state quelle del personaggio di Ferdinando Nobile, a cui volevamo dare un’identità siciliana chiara, un’eleganza che aveva già nel romanzo, non allontanandoci quindi troppo dalla spina dorsale dell’opera di Letelier. L’incastro che è venuto fuori, tra cultura siciliana e cultura cilena, è uscito molto bene».
In tempi più recenti, Paolo Pintacuda s’era cimentato a scrivere le sceneggiature (insieme a Ignazio Rosato, Roberto Anelli e Roberto Lipari) dei due film di Roberto Lipari, "Tuttapposto" (2019) e "So tutto di te" (2023), ma prima ancora, nel 2015, fu lui ad adattare per lo schermo, insieme a Federico Cruciani, Giacomo Cacciatore e Josella Porto il romanzo di Giacomo Cacciatore, "Figlio di vetro". Da una parte il cinema, con le sue regole, i suoi codici, le immagini che sovrastano la parola; dall’altra la narrativa, che non ha strumenti diversi dalla parola, o dalla sua assenza, per far imprimere le sue scene nella mente dei lettori.
«Entrambe le forme di scrittura mi rappresentano – dice Pintacuda, che oltre a essere sceneggiatore ha scritto diversi romanzi – e quello che cambia è semplicemente, scusa il gioco di parole, la forma. Sono due scritture parallele e complementari, anche se la scrittura per il cinema è comunque una scrittura di servizio, tu scrivi un film che poi qualcun altro s’occuperà di mettere in scena, qualcun altro lo reciterà, lo produrrà. La struttura narrativa ti dà una libertà che la scrittura cinematografica forse non può darti, perché in un romanzo ti puoi permettere di fare un’introspezione che nel cinema non puoi fare.
Quando si scrive per il cinema si fa sempre per immagini, ogni scena è scritta perché dev’essere filmabile, nella narrativa puoi penetrare i pensieri del personaggio, fare lunghe divagazioni, ellissi, o produrre uno spazio così ampio di narrazione che poi ti completa un intero capitolo. C’è una libertà espressiva e di movimento, in questo, che la scrittura per il cinema non potrà inevitabilmente dare mai, anche per esigenze di lunghezza di una sceneggiatura».
Eppure, la sua è una scrittura – anche quando si muove nelle distese sconfinate della letteratura – che è «inevitabilmente legata al cinema». “L’eroe di Paternò”, il suo penultimo romanzo, basato sulla rivolta del sette e mezzo di Palermo, «è molto cinematografico, idem per “Jacu”, scrivo per immagini molto spesso, e ho pensato a delle trasposizioni cinematografiche dei miei romanzi, solo che il passaggio non è così immediato e facile. Già solo il fatto che sono romanzi storici fa lievitare i costi in modo esponenziale, però mai dire mai. Le mie rarissime incursioni alla regia si sono limitate a due documentari, uno sulla storia di Bagheria, del ’95, appena ventunenne, e un altro, a cui sono più legato, che è quello su mio padre. Non so se farò altre regie in futuro».
Ma di sicuro ci sono altri romanzi e altre sceneggiature per film che stanno per uscire dalla penna di Pintacuda. «Ci sono un po’ di cose – racconta lo sceneggiatore – come un romanzo in fase di scrittura, da un po’ di tempo… e poi altri progetti cinematografici in cantiere. Sai qual è la cosa particolare? Nel momento in cui “Storia d’amore di un uomo che balla” uscirà in sala, per me sarà già una cosa passata. Lo è in parte già adesso che lo stanno girando, io ho scritto la sceneggiatura diverso tempo fa.
Poi è vero che non ci smetti di lavorare del tutto perché una cosa magari va sistemata per andare incontro, non so… a un cambio di location, però sei già passato ad altro, stai sviluppando un altro film, un altro romanzo… ultimamente mi sto avvicinando a raccontare cose successe in tempi più recenti.
“L’eroe di Paternò” era ambientato nel 1866, “Jacu” tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale, adesso mi piacerebbe raccontare qualcosa di temporalmente più vicino. Però il riferimento a un tempo lontano, fuori dai ricordi nostri, permette di avere più movimento, di spaziare anche su racconti leggendari che i tempi più recenti non ti permettono di avere. È un po' come in “The Crown”, la serie sulla famiglia reale britannica.
Le prime stagioni, a mio avviso, sono molto interessanti perché raccontano un periodo storico lontano dal nostro, l’ultima stagione, legata a fatti più recenti, secondo me funziona meno. Proprio perché sono cose che abbiamo avuto sott’occhio dalla cronaca, è come se fossero già state raccontate…».
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