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Ninni Bruschetta è Matteo Messina Denaro: "Teatro e cinema specchio della realtà"

C’è un obiettivo nobile che lega tutta la sua carriera: la ricerca di un teatro e di un cinema che non siano mai solo rappresentazione, ma specchio della realtà. L'intervista

Federica Dolce
Avvocato e scrittrice
  • 16 settembre 2025

Ninni Bruschetta

C’è un obiettivo nobile che lega tutta la carriera di Ninni Bruschetta: la ricerca di un teatro e di un cinema che non siano mai solo rappresentazione, ma interrogazione, specchio e rifrazione della realtà.

Una scelta di vita e d’arte che parte da lontano, da quando nel 1983 fondò la compagnia teatrale "Nutrimenti Terrestri". Da allora, passando per la regia di opere come il Giulio Cesare di Shakespeare, Istruttoria e Caino di Claudio Fava, Bruschetta ha sempre scelto testi che mettono l’uomo di fronte alle proprie responsabilità, politiche e morali.

Per lui il teatro non è intrattenimento, ma necessità. «Il teatro è reale. Un grande filosofo francese diceva che il teatro è la più grande rappresentazione della manifestazione universale. Evidentemente - afferma - si riferiva al contenuto e all’attore del teatro, cioè l’uomo. L’uomo misura di tutte le cose.

In più la funzione principale del teatro, come quella della ritualità, è proprio quella sociale e politica. Non esiste, a mio parere, un teatro senza una valenza sociale.

Non sarebbe teatro, - sostiene Bruschetta - sarebbe "Spettacolo", nel senso Tertulliano del termine: mero specchio della realtà e perciò stesso diabolico».

È con questa radicalità di pensiero che Ninni Bruschetta affronta anche il cinema. La sua carriera lo ha portato a lavorare con alcuni dei registi più importanti del panorama italiano, da Paolo Sorrentino a Daniele Luchetti, interpretando personaggi che lasciano il segno. Eppure, nonostante il talento e l’esperienza, l’attore racconta con realismo le regole del gioco.

Alla domanda come faccia a scegliere i personaggi da interpretare, lui ci ha risposto: «“Scegliere” non è un verbo che appartiene al mercato dello spettacolo italiano.

A parte qualche super protagonista (non sempre legittimato) nessun attore italiano può davvero scegliere. Semmai può scegliere come lavorare sul personaggio che gli viene proposto, a meno che non voglia fare la fame.

Poi ti capita la fortuna di fare qualcosa di veramente bello. Ma è un caso. In teatro, invece, ho sempre scelto, sia da regista che da attore. E scelgo sempre testi e personaggi che possano restituire un’idea forte della disciplina e della sua funzione sociale. Mi piace alle volte spingermi verso qualcosa di rivoluzionario.

Forse lo spettacolo più rivoluzionario che ho fatto è stato Vegnerà un Cristo, ispirato al Vangelo Secondo Matteo di Pasolini». È qui che si coglie la differenza tra il Bruschetta uomo di cinema e il Bruschetta uomo di teatro: due anime che vivono nello stesso corpo, ma che si alimentano in modo diverso.

Se sul set la logica industriale impone le sue regole, sul palco resta la libertà assoluta della scelta, il rapporto diretto con la tradizione e con il pubblico.

Non è un caso allora che oggi, proprio grazie alla sua capacità di incarnare personaggi complessi e densi di significato, sia stato scelto per una nuova sfida artistica: interpretare Matteo Messina Denaro nella fiction di Rai 1 "L’Invisibile", diretta da Michele Soavi, che racconterà le ultime fasi della cattura del boss.

Un ruolo delicato, che ancora una volta conferma come Bruschetta sappia muoversi tra teatro, cinema e televisione senza mai perdere il filo della responsabilità civile che attraversa tutto il suo lavoro.

La grande popolarità, tuttavia, arriva con la televisione. Il ruolo di Duccio Patané in Boris lo trasforma in un volto familiare a milioni di italiani, facendolo diventare un’icona della serialità contemporanea. Ma anche in questo passaggio, Bruschetta non tradisce mai l’origine teatrale della sua formazione.

La grande popolarità, tuttavia, arriva con la televisione. Il ruolo di Duccio Patané in Boris lo trasforma in un volto familiare a milioni di italiani, facendolo diventare un’icona della serialità contemporanea.

Ma anche in questo passaggio, Bruschetta non tradisce mai l’origine teatrale della sua formazione. «La recitazione è una disciplina unica - sostiene l’attore - e proviene esclusivamente dal teatro. Naturalmente al cinema o in tv cambiano le modalità, ma alla fine non c’è quasi niente di diverso».

È un’affermazione che sembra quasi lapidaria, eppure chiarisce quanto per lui il mestiere dell’attore non abbia confini tecnici, ma una stessa radice: la scena come spazio sacro, che sia davanti a una platea o a una telecamera.

Questa visione ritorna anche nei suoi libri, Sul mestiere dell’attore (recentemente ripubblicato con il titolo "L’officiante") e Manuale di sopravvivenza dell’attore non protagonista. Due testi che raccontano non solo un’esperienza professionale, ma anche una riflessione critica sull’industria culturale italiana.

«Non direi che si tratta di una condizione, ma di una "perversione" del cinema e della televisione italiana. In tutti i Paesi del mondo si vedono gli attori scambiarsi i ruoli, mentre in Italia ci sono protagonisti di professione e non protagonisti obbligati.

È ridicolo, ma come tante cose di questo Paese. Alla fine ci fai l’abitudine. La mia visione dell’arte, invece, si arricchisce con lo studio e la disciplina, che dovrebbero essere la normalità per tutti. Dovrebbero».

È un giudizio severo, ma anche lucido, che mette in evidenza non solo la difficoltà di un mestiere spesso sottovalutato, ma anche la necessità di riportarlo a un rigore intellettuale e umano. Bruschetta non cerca scorciatoie: lo studio e la disciplina, appunto, come unico e solido fondamento.

Guardando avanti, però, non è il futuro digitale o tecnologico a entusiasmarlo di più, ma ancora una volta la tradizione, intesa come forza viva e mai esaurita.

«I linguaggi cambiano sempre. Alle volte in meglio, molto più spesso in peggio. Io credo - dice Bruschetta - che il grande progresso del linguaggio sia sempre la tradizione. E la mia non è una provocazione, perché rifacendosi alla tradizione si "tradisce" il linguaggio e quindi lo si rende moderno. La tradizione teatrale infatti è viva da secoli e secoli e vivrà per sempre, qualsiasi sia il percorso più o meno accidentato della società umana».

Parole che restituiscono l’essenza di Ninni Bruschetta: attore, regista, scrittore, ma soprattutto uomo di teatro, profondamente legato alla sua terra, la Sicilia. Una terra che non è mai sfondo, ma sostanza, visione, materia viva da plasmare attraverso il teatro, il cinema e la scrittura.

Una Sicilia che nelle sue scelte artistiche diventa sempre cuore pulsante di memoria e di identità, ma anche strumento per interrogare il presente e guardare avanti. Perché se l’isola è emozione pura, Bruschetta sa trasformarla in arte: semplice, profonda, universale.
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