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Perché il pane (in Sicilia) è una cosa seria: cosa succede se a tavola lo metti sottosopra

Ogni volta che si organizza una cena la prima domanda è: "ma cu puorta u pani?". Per il pane si sono pure fatte rivolte. Storie e curiosità di un'istituzione siciliana

Alessandro Panno
Appassionato di sicilianità
  • 11 febbraio 2023

Pensando al tempi che furono e, specificatamente, alla mia breve parentesi nordica, non posso non ricordare a quanto mi mancassero i nostri panifici. Ogni volta che mi apprisintavu davanti il bancone una stretta al cuore mi attanagliava.

Il massimo che potevo trovare era un pezzo di focaccia, grissini e una specie di gigantesco pistolone adagiato sul bancone come un cetaceo spiaggiato, da cui ogni volta veniva tagliato un pezzo in base al peso che desideravi.

Ora lo so che è giusto così, che il pane andrebbe sempre pesato e via dicendo... Ma che ci posso fare?

Mi mancava anche quella sorta di fiducia che c’è, o dovrebbe esserci, tra consumatore e panettiere quando chiedi "Mi rasse ru mafalde e un toscanino” e sai esattamente a quanto dovrebbe corrispondere in termini di peso.

D’altronde come dicevano le genti antiche "pane e vino 'nforzano u schinu" e, se da un lato non ci facciamo mancare vino in pietra di quello buono, anche con il pane non restiamo di certo a guardare (sempre pensando a u schino).
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E allora pistuluna, torcigliati, signorine, parigini, toscanini e francesi, ma se non fossero sufficienti ci mettiamo spighe, pizziati, mafalde e scalette, senza contare che ogni panificio fa sempre qualcosa di particolare e diverso che non troverai altrove.

Concludendo penso che possiamo affermare, con una certa autorevolezza, che il pane, in Sicilia, è più di un alimento, ma una vera e propria istituzione.

Pensateci, ogni volta che si organizza una cena o un pranzo, la domanda è "Ma cu puorta u pani?". Per far capire che va tutto bene, su usa dire che "U pani c’è" e quando dovete gustare una pietanza particolarmente prelibata, ma siete sazi, viene detto sempre "Vabbè manciatillo senza pani", come a sottolineare che, insomma, è quasi inconcepibile non accompagnare una pietanza con il pane e mangiare il companatico senza è solo un'eccezione.

Provando a fare un po' gli allittrati, per il pane, in Sicilia, si sono pure fatte vere e proprie rivoluzioni, spesso soffocate nel sangue. Una delle prime fu nel 1500, quando la Sicilia la vendita del grano era di libero mercato, dando la possibilità ai commercianti di poter vendere al prezzo che volevano il frumento al di fuori della Sicilia.

Questo sistema, inevitabilmente, si scontrò con il pititto del popolo siculo il quale, a causa delle speculazioni, si trovava senza la materia prima per panificare. A quel punto i piani alti decisero di municipalizzare la produzione, imponedo il monopolio della vendita del pane da parte dei comuni.

I commercianti si videro ridurre drasticamente i profitti e furono obbligati al pagamento di tasse che, spesso, però non venivano versate. In questo modo i comuni ebbero un grosso disavanzo erariale e, per porre rimedio aumentarono il prezzo dei panificati portandoli ad un costo proibitivo.

Tutto questo portò i siciliani, nel 1647, a fare sangu marcio facendo scoppiare una vera e propria rivolta che venne debellata in malo modo.

Nel 1944, invece, dopo la caduta del Fascismo e nel pieno della ricostruzione post conflitto, la popolazione sicula, stremata da anni di impoverimento dati dalla dittatura prima e dalla guerra poi, cominciò a murmuriarsi per le tasse sui panificati imposte dal secondo governo Bonomi per finanziare la ricostruzione della penisola, ma, soprattutto, per la proibizione della panificazione casalinga, dando così luogo a delle vere e proprie rivolte che furono spente con la forza.

Quella più sentita avvenne proprio dinanzi a Palazzo Comitini, ai tempi sede della prefettura, a Palermo, dove un nutrito gruppo di uomini, donne, e bambini si radunò. La risposta non si fece attendere e il 139 reggimento dell’esercito ebbe ordine di far fuoco ad altezza d’uomo, uccidendo circa 24 persone e ferendone 158.

Chiusa questa breve e spicciola parentesi storica torniamo subito al faceto.

Diverse sono le usanze, nella nostra terra, legate all’uso del pane, per cui cari stranieri (ovvero tutti coloro che provengono dallo stretto di Messina in poi), non stupitevi se a tavola noterete atteggiamenti in bilico tra il curioso ed il superstizioso.

- Simile al principio dell’ energia: il pane non si butta, ma si trasforma. Con quello duro o avanzato si farà muddica, panuzzi fritti o altro. Se proprio si è costretti a gettarlo, lo si bacerà mormorando con deferenza “na bucca ru sugnuruzzu”.

- Non poggiate mai il pane a tavola sottosopra. MAI! Non si fa, è come incrociare i flussi con gli zaini protonici, è male! Se dovesse capitarvi verrete duramente redarguiti, alla stregua di un picciriddu. Mettere il pane sottosopra equivale a voltare le spalle ai vostri ospiti ed ai lumi. Non fatelo.

- Se a fine pasto, anche il più abbondante, vedete i commensali siculi inumidire il dito indice e raccogliere la giuggiolena (sesamo) caduta sulla tovaglia dal pane non stupitevi. Non è pititto residuo e neppure gola. Semplicemente si fa e basta, è un passatempo. È un accompagnamento al caffè e amaro finale.

Non esiste un motivo ben preciso. Alla stregua di più diversi orientamenti politici, ogni siciliano avrà una preferenza per una ben specifica pezzatura, anche se quest’ultima è decisa anche in base alla pietanza che deve essere accompagnata.

Elencarle tutte sarebbe cosa impossibile per cui verranno suddivise semplicemente in leggia e forte. La leggia è morbida, arrotondata, molta mollica, poca crosta.

I pezzi staccati da una forma leggia (ad esempio una scaletta o una mafalda) hanno spesso una forma a cuppitieddu e sono adatte a raccogliere sughi, creme o fare la scarpetta.

La forte, al contrario, è pezzatura bella incrastagnata, con punte e cozzi scrocchiarelli, poca mollica e molta crosta. Ideale per accompagnare formaggi molto stagionati e pietanze dai sapori decisamente forti.

Ci sarebbe da parlane ancora per molto, ma si rischierebbe di fare un vero e proprio trattato, ma già da queste poche righe credo sia possibile capire appieno perchè quando il siciliano vuole identificare una persona come malaminitta, grevia o munzignara lo appella con un "fussi pani u'nni manciassi".
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