PERSONAGGI
Vive un anno con l'eremita di Capo Gallo: chi è il regista che racconta la storia di Isravele
Appassionano di arte irregolare e desideroso di realizzare un documentario chi ha scelto di allontanarsi dal mondo il regista toscano decide di vivere "Lassù" con lui
Semaforo Borbonico dell'Eremita a Capo Gallo
Appassionano di arte "irregolare" e desideroso di realizzare un documentario chi ha scelto di allontanarsi dal mondo, decide di salire "Lassù" sul Monte, un massiccio carbonatico sopra Palermo che separa i golfi di Mondello e Sferracavallo.
"Un'acchianata" con tenda, sacco a pelo, utensili da campeggio e macchina da presa. Inizia così questo incontro che diventerà nel corso di un anno e mezzo un’amicizia, e in cinque anni un docufilm presentato a Palermo lo scorso 8 giugno.
Il regista mi racconta la storia dell’eremita: «Nino è un muratore di Brancaccio, padre di famiglia premuroso, conosce sin da piccolo il Monte Gallo, dove da Partanna con i genitori si recava per gite e scampagnate. Il monte è parte di lui è un luogo che ha interiorizzato e che colora di sogni e fantasie.
Per Nino è "la chiamata", che si manifesta con un potente tuono nel quale sente la voce di Dio. Interrotto il lavoro per il maltempo, si avvia a tornare a casa in macchina, quando, ha la sensazione di non essere più nel suo corpo, e "elevandosi" si trova al cospetto di Dio, impegnato "a fare la fine del mondo".
Parla con Lui dicendogli: «Non fare questo dammi la possibilità di annunciare un ultimo messaggio di salvezza».
È il 1997, e lui non sarà più lo stesso, ricoverato all'ospedale, sedato, al risveglio ricorda la fuga di San Pietro e scappa. Novello millenarista sente di dover annunciare la fine dei tempi, un processo già iniziato con malattie, violenza, guerre e disastri ambientali.
Catastrofe necessaria per purificare il mondo governato dal male e permettere così un nuovo inizio. Nino incomincia a decorare un garage della famiglia, allo Zen, un’opera dice il Regista ancora tutta da scoprire.
Non appagato, lascia tutto e raggiunge il vecchio Faro borbonico sul Monte, posto di vedetta delle truppe naziste durante la seconda guerra mondiale. Luogo che diventerà il suo tempio e la sua casa.
Nino cambia nome, la sua passione per l’enigmistica gli suggerisce "Isravele" che letto al contrario diventa: Elevarsi. Inizia così il suo apostolato della fine, accompagnato da una produzione artistica che è preghiera, fatta d’immagini e scritte. Il Regista e l’Eremita entrano in contatto, Isravele lo accoglie con cortesia.
Iniziano le riprese; Pampaloni lo segue per l’intera giornata fino a sera quando torna nella sua tenda vicino al faro. La sua caparbietà nel rimanere lassù viene interpretata dal mistico come l’ennesima volontà di Dio, e accettando la presenza di un estraneo, pone però una condizione: «Sappi che del tuo film non me ne importa niente, io non faro niente di quello che tu mi dici, mi seguirai».
Nasce così questo rapporto che può essere paragonato a quello di un maestro con il suo adepto; l’ispirazione racconta il regista a volte s’interrompe favorendo momenti di convivialità e divertimento, guardano i cartoni animati, “fanno le parole crociate”, e parlano… gli argomenti sono il Male, Dio, la fine del mondo.
È un legame che si rafforza quando due ragazzi salendo sul monte con una moto, rubano l’attrezzatura del giovane Regista. Pampaloni perde "il girato" e i suoi strumenti, piange in ginocchio di fronte a Isravele, sofferenza che rafforza ancora di più il loro rapporto.
Tecnicamente Isravele non è un eremita, non si è isolato per un suo percorso spirituale, la sua missione è far sapere a tutti che l’Armageddon è iniziata.
Messaggio non sempre compreso, spesso si ritrova con frotte di curiosi desiderosi solo di riprendere l’Eremita e il suo Tempio. Infastidito, si sottrae, barricandosi o scappando nelle grotte, dove realizza pecorelle di gesso bianco, "creature dall’alto valore simbolico".
Nel film si nota la profonda differenza tra un mondo fatto di rumore, anche nell’esperienza religiosa, e quella fatta di silenzio e meditazione.
Terminate le riprese e sceso da "Lassù" per Pampaloni iniziano le difficoltà che lo porteranno a vedere il suo lavoro nelle sale cinematografiche grazie a contributi della Toscana, Piemonte e Francia; la Regione Sicilia benché assegnati dei fondi li revocherà per problemi tecnici di rendicontazione.
Un film siciliano sarà finanziato da altri. La vita del regista da allora è cambiata, ha lasciato la città per andare a vivere in un bosco, rallentando i ritmi della vita. L’incontro con l’eremita ha risvegliato una spiritualità, dove il Cristianesimo del mistico, l’unica cultura religiosa che conosce è di fatto "Panteista e Zen".
L’arte è parte integrante di questo film che racconta attraverso le immagini quello che Eva Di Stefano, Storica dell’Arte Contemporanea, ha definito nell’ultimo numero dell’Osservatorio Outsider Art come "Pratiche di Riparazione" dove artisti "babelici" si pongono contro la società dei consumi, con realizzazioni fatte con materiali di recupero, ingegnose opere ambientali.
Un'arte fuori dal mercato, realizzata da creatori posti ai margini, come i personaggi di un altro documentario realizzato da Pampaloni alla Stazione Termini di Roma, tra i clochard.
"Lassù" sarà di nuovo al cinema il 12 luglio a Palermo, dove si potrà scoprire come ha scritto la Professoressa: "Il suono del vento, il rumore delle pietre che punteggiano il film, le sue ombre e il suo mare di luce che suggeriscono la potenza divina perigliosa e salvifica della Natura".
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