STORIE

SLINK
HomeCulturaStorie

Anche Lucio Dalla era un suo fan: Daniele, da Ballarò ai tour con Rkomi e Shablo

Dalle colline di Vicari ai jazz club d'Europa, il trombettista siciliano difende la musica suonata dal vivo, riportando i fiati nella scena urban pop italiana insieme ai big

Viviana Ragusa
Giornalista
  • 16 novembre 2025

Daniele Raimondi

È difficile condensare in poche righe le mille vite del musicista Daniele Raimondi. L’infanzia palermitana e la crescita a Trieste, i ritiri di studio nell’entroterra siciliano, Parigi, Roma, i jazz club fino a notte fonda, i tour con i big dell’urban italiano.

Il cammino di Daniele incrocia nomi e generi diversi, in una traiettoria che tiene insieme radici e futuro, visione e disciplina.

Con Shablo e Rkomi, il giovane musicista scopre che la tromba può plasmarsi e dire qualcosa di autentico anche in contesti inconsueti.

Proprio con il cantautore di Calvairate, Daniele è impegnato nel tour "Mirko nei teatri", che tocca anche Palermo (5 novembre) e Catania (6 novembre). Un viaggio costruito apposta per portare l'album "decrescendo." in una dimensione più raccolta, più umana, più vera, per togliere ciò che distrae e mettere a nudo la musica.

È una scelta che Daniele abbraccia con entusiasmo, dato che ama da sempre i teatri. E questo sentimento è palpabile anche dietro le quinte della "data 0" al Teatro Arcimboldi, quando il trombettista incrocia Rkomi e gli confessa: "Non vedo l’ora di far vibrare le pareti legnose di questi teatri!". «Ogni sala ha la sua anima - spiega - e il teatro ti fa vibrare insieme al pubblico. È una dimensione mistica».

Nato a Palermo nel 1992 e cresciuto a Trieste, Daniele Raimondi è l’emblema di chi non smette mai di evolversi. «Io a Palermo ci sono praticamente solo nato, precisamente a Ballarò - mi racconta - ma la Sicilia l’ho sempre frequentata, tutte le estati. I miei nonni sono di Vicari e lì mi rifugiavo per studiare in mezzo alla natura. Stavo anche dodici ore al giorno a esercitarmi con la tromba, guardando le colline e i paesaggi dell'entroterra. Si stava bene, si mangiava bene, e intorno c’era solo silenzio».

È da quel contatto con la natura che nasce il suo modo di vivere la musica, serio, totalizzante, "agonistico". «Con la musica non si scherza - afferma Daniele - bisogna suonare mille metri a casa per farne cento bene sul palco. È un impegno di vita».

La sua storia con la tromba comincia quasi per caso. «Avevo otto, nove anni - spiega - e ascoltando la banda del paese dissi: "Sai cosa? Forse voglio suonare la tromba"». Da allora non l’ha più lasciata. «Quando venivo in Sicilia d’estate - racconta - suonavo con la banda di Vicari. Si imparava e si arrotondava anche qualcosa. Era bellissimo».

A Trieste Daniele frequenta il conservatorio, poi lavora ai festival jazz più importanti d’Italia, come "Siena Jazz", "Umbria Jazz", "Tuscia in Jazz". Poi parte per Parigi, giovanissimo, su consiglio del suo maestro Flavio Boltro: «Mi disse che era la New York europea - spiega -. Avevo diciannove anni e pochi soldi, ma ci sono rimasto tre anni. A Parigi c’erano settanta jazz club, si suonava ovunque. Le jam session andavano avanti fino alle quattro del mattino».

Tornato in Italia, Daniele suona con decine di artisti, ma l’incontro decisivo è quello con Shablo, con cui porta avanti una piccola rivoluzione, inserendo i fiati nella musica urban pop.

«Una volta i fiati erano indispensabili, pensa agli Earth Wind & Fire - mi dice -. Poi l’avvento della tecnologia li ha sostituiti con le tastiere. Ma il suono dei fiati dal vivo è un’altra cosa. È un timbro che ti arriva addosso, ti attraversa. Io in questa battaglia ci credo e voglio essere pioniere di questo ritorno».

«Un giorno, in studio - aggiunge - Shablo mi dice: “Ma dai, tu che sei capace, impara a suonare il sax, qua ci ficchiamo due note”. Era la spinta che mi serviva, in un mese ho imparato a suonarlo».

Daniele, infatti, non è il tipo che aspetta che le cose accadano per caso; lui le provoca, le rincorre, ci mette del suo. Ama rischiare e proporre idee. È successo così anche con "Lost", il brano di Shablo. «Avevo un’oretta libera a casa e ho provato a registrare un assolo sul finale, solo per fargli sentire un’idea - racconta -. Mi ha richiamato subito dicendo: "È perfetta così, la mettiamo nel disco". Così, "one-shot", non voleva nemmeno che la rifacessi».

Tra i tanti aneddoti di Daniele Raimondi ce n’è anche uno che lo lega a Lucio Dalla. «Avevo quattordici, forse quindici anni - racconta -. Suonavo a Trieste in un duo con il chitarrista Emanuele Grafitti. Ci chiamavamo Alfa Omega Jazz Duo. Registrammo un disco prodotto da Sergio Cossu, il tastierista dei Matia Bazar, e partecipammo a un concorso a Padova. Il presidente di giuria era Lucio Dalla».

«Quel concorso lo vincemmo - prosegue - e dopo la premiazione Dalla ci prese in disparte. Ci disse che per tutto il viaggio aveva ascoltato il nostro disco in loop, che si era innamorato del nostro suono. Ci scambiammo i numeri, ci scrivevamo gli auguri di Natale, e lui mi disse che voleva invitarci nel suo studio per lavorare insieme a un progetto. Poi, purtroppo, è scomparso. E ogni tanto mi chiedo ancora come sarebbe andata la mia vita se quella collaborazione fosse nata davvero».

C’è poi una parentesi particolare nella vita di Daniele che lo vede a Trieste insieme al fratello e a un amico. Avevano dato vita a un locale in disuso, un luogo diventato in poco tempo un punto di riferimento per la musica live della città. «Tra i clienti abituali c’era anche Joe Bastianich - mi racconta -. E una volta, quando gli ho detto che avevamo dovuto chiudere, mi ha risposto: "Ma no! Quando venivo al tuo locale era come stare a New York. Facciamo qualcosa insieme"».

Daniele mi confessa che per un breve periodo l’idea di aprire un nuovo spazio con lui lo ha tentato davvero. «Poi ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti: "vogliamo fare i 'localari' o tornare a fare quello che abbiamo sempre sognato?"». E Daniele ha scelto la musica.

«Mi vedo molto bene come side-man, come carica energetica per gli altri - afferma -. «Il mio sogno è svegliarmi la mattina, bere un buon caffè, aprire lo studio e sapere che devo registrare delle cose. Voglio dare il mio contributo alla musica vera, quella suonata, quella che vibra».

Daniele, infatti, ha una carica contagiosa, che porta ovunque vada. «Al compleanno di Tormento, a Trieste, siamo finiti in cinquanta seduti attorno a un tavolo. Io rompevo le barriere tra artista e pubblico e trascinavo tutti con noi. È stato bellissimo». È un ragazzo che trasforma ogni incontro in opportunità. «La vita può cambiare da un giorno all’altro - spiega -, l’importante è farsi trovare pronti. Studiare sempre, non avere paura del cambiamento. Il primo stimolo deve venire da te stesso».

Anche con Davide Shorty l’intesa è nata così, per caso. «Ci siamo conosciuti al compleanno di Ainé, abbiamo suonato tutta la notte, ci siamo divertiti un sacco. Poi mi ha invitato a suonare con lui». E di Tormento ricorda con affetto la prima frase: «Mi ha detto: "Porca miseria, fratello, sembri Clifford Brown!". Appena un rapper ti cita un trombettista così, capisci che stai lavorando con gente che ha una cultura musicale vera».

Quando gli chiedo del ritorno a Palermo e Catania, Daniele mi risponde: «Per me tornare in Sicilia è sempre una grande emozione. Il pubblico è calorosissimo, e poi il clima… ieri ero in maniche corte a bere una spremuta di arance, oggi ho sciarpa e cappotto».

E, naturalmente, c’è anche la parte gastronomica: «A Palermo abbiamo mangiato caponata, sfincione, involtini di pesce spada, le busiate; a Catania invece carne di cavallo in tutte le sue forme. Insomma, ci siamo arricriati!».

Ma la Sicilia per Daniele è anche una culla di talento. «È una terra che sforna musicisti straordinari - dice -. Il problema è solo il coraggio di uscire dall’Isola e fare esperienze. Per il resto, i siciliani non devono temere nessuno».

Prima di salutarci gli chiedo come suona, per lui, la Sicilia. «È un suono rotondo, caldo, avvolgente - risponde - con intervalli minori che sfociano in una modulazione maggiore, a ritmo delle onde. Ma anche movimento, sonorità mediterranee, contaminazione».

E mentre lo ascolto, penso che forse sia proprio così.
Ti è piaciuto questo articolo?
Seguici anche sui social
Iscriviti alla newsletter
Cliccando su "Iscriviti" confermo di aver preso visione dell'informativa sul trattamento dei dati.

GLI ARTICOLI PIÚ LETTI