STORIA E TRADIZIONI

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Cuoceva i nemici dentro un toro e fu ucciso a sassate: il tiranno che esasperò la Sicilia

Falaride, tiranno agrigentino che rimase al potere per 15 anni in Sicilia. Il simbolo della sua crudeltà fu il toro di bronzo che fece costruire per torturare i suoi nemici

Elio Di Bella
Docente e giornalista
  • 13 marzo 2023

La tortura del toro di Falaride

Dopo aver dedicato i suoi primi sforzi verso la Sicilia occidentale, l’aspirazione falaridea di costituire un forte stato agrigentino, si spinse verso il territorio gelese, quindi ad oriente.

Falaride cominciò innanzitutto a realizzare fattorie coloniche fortificate verso il fiume Salso e subito dopo anche fortificazioni militari sulle colline e i monti vicini all’attuale Licata, in tal modo intendeva frenare l’espansione di Gela verso quei territori.

Rimase al potere per circa quindici anni dal 571 al 556 a. C.

La tradizione racconta che Falaride venne ucciso a sassate dagli akragantini esasperati dalla sua crudele condotta.

Talune fonti storiche suggeriscono che gli Emmenidi, da cui proviene il successore di Falaride, cioè Terone, abbiano avuto un ruolo preminente nell’abbattimento della tirannide Falaridea: vengono fatti i nomi di Emmene, il capostipite, o di un Telemaco.

Secondo la tradizione, Falaride stesso, avendo visto uno stormo di colombe impaurite che fuggiva un uccello rapace, affermò che quelle colombe erano stupide perché sarebbe bastato che si fossero unite per potere scacciare il nemico che le terrorizzava.
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Qualcuno pensò di dare attuazione all’apologo e lanciò contro il tiranno il primo sasso. Molti altri ne seguirono e così Falaride venne lapidato impietosamente da una folla di rivoltosi.

Veniamo in ultimo al toro, il simbolo della crudeltà di Falaride.

Si tratta di uno strumento di tortura ben noto a tutta la tradizione, secondo cui il tiranno agrigentino fece costruire un toro di bronzo, vuoto all’interno: era destinato ad immettervi dentro i suoi nemici che venivano bruciati vivi dopo averlo adeguatamente riscaldato, accendendovi il fuoco di sotto; a tale scopo era dotato di uno sportello all’altezza delle spalle.

Si dice inoltre che sia stato costruito con tanta ingegnosità che le grida che emettevano le vittime somigliavano al muggito di un toro. La prima vittima sarebbe stata il suo stesso costruttore, l’ateniese Perillo.

Potrebbe però trattarsi di un tema propagandistico in chiave anti- falaridea.

Il toro avrebbe fatto parte del bottino di guerra quando, nel 406 a.C, i Cartaginesi conquistarono Agrigento e sarebbe stato trasportato a Cartagine; quando i Romani conquistarono Cartagine, Scipione l’avrebbe restituito ad Agrigento.
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