STORIA E TRADIZIONI

HomeCulturaStoria e tradizioni

"Il Gattolardo" e la "vongola fujuta": se i piatti siciliani avessero nomi gourmet

Gli anelletti non vanno più nella teglia a comegghiè, ma nel coppapasta, tutti precisi, messi a uno a uno, che per farli ci vuole u piastrellista: cosa è cambiato

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 31 agosto 2025

Pasta con le vongole

Nietzsche si è sbagliato, non è Dio ad essere morto, è il concetto di semplicità che è morto. Caput, su purtaru. Paci all’anima sua.

Eravamo siciliani semplici, acqua e sapore, sentivamo il profumo della milinciana fritta e ci emozionavamo.

Se poi era sulla pasta al pomodoro cu basilicò, salto mortale con doppio avvitamento.

Il mondo oggi è diventato perverso, corrotto, e adesso gli spaghetti li ficcano dentro alle milinciane (una forma di sodomia atrocemente indicibile).

Gli anelletti non vanno più nella teglia a comegghiè, ma vanno nel coppapasta, tutti precisi, messi a uno a uno, tipo mini- Colosseo, che per farli ci vuole u piastrellista.

Il nero di seppia non si può mangiare più, è razzista. Se dici “sarda a beccafico” vieni bannato per aver violato contenuti sensibili e condannato a sei mesi di reclusione.

La cucina si è complicata, burocratizzata, imborghesita. Piena di parole, elementi scenografici, guarnizioni. ‘Na vota le guarnizioni erano nu meccanico e andavano con la testata.

Da noi l’unica cosa che abbia mai avuto punti in comune con il motore di una macchina, semmai, è lo sfincione: scarsu r’ogghiu e chinu i provulazzo.

Origano e pregiudizio, Sogno di una notte di pesce spada, Cent’anni di melanzanitudine, Il Gattolardo, Uno, nessuno e centopila (il pelo al ristorante si trova sempre), Risotto e Castigo, Pomi-Dick, Alla ricerca del Gateau perduto.

Se la buonanima di nonnò si risvegliasse col desiderio di un piatto di pasta, prima dovrebbe prendersi una laurea in letteratura.

È arrivato il momento che qualcuno faccia qualcosa.

Il filo che divide l’arte e la fantasia dalla malaminchiatagine è troppo sottile per camminarci sopra con gli scarponi da trekking. Si è sorpassato ogni limite.

Una volta per non buttare a pasta cu sucu, ta faceci fritta a sira.

Ora te ne vai in un ristorante di Palermo Centro, la chiamano “spaghetto alla reazione di Maillard” e ti appioppano 35 bellissimi euro.

Una volta il piatto si mangiava caldo, a temperatura della lava, e con il timer, perché se s’arrifriddava ti portavano in collegio da Padre Messina.

Se poi lasciavi qualcosa, "via!", un reietto della società, diseredato, esiliato e confinato in Siberia nei gulag. I piatti, poi, oggi non si mangiano più, si raccontano.

Ti portano quattro fagiolini a forma di capanna Teepee e conditi col sale dell’Himalaya, entra in cuoco e ti scartavetra le cosiddette con tutta una pantomimica sulla storia del fagiolino dalle civiltà precolombiane ‘nfino al ruolo fondamentale che ha avuto durante la Rivoluzione francese nella dieta di Robespierre.

Terminata la lectio magistralis, mentre intanto un cameriere ti ha tenuto in vita alimentandoti con una flebo, finalmente si mangia.

Forse… perché quello è il momento in cui parte il famigerato concorso fotografico.

Tutti fotografi, tutte fotografe, che se quando non c’erano gli smartphone ti permettevi a uscire la macchina fotografica al ristorante e fotografare il piatto, ti facevano il TSO e ti spedivano a Barcellona Pozzo di Gotto senza passare da via!

E invece no, Arianna si fa un selfie con l’uramaki e tagga Marianna, che si un fa un selfie a Partanna e tagga Concetta, che si fa un selfie con la porchetta e tagga ad Arturo, che aveva detto di starsi a casa e invece ha postato un selfie in compagnia di Francesca in discoteca.

Manfredi vede la storia e la gira a Filippo, che, pure lui, pensava che Francesca si stava a casa. Mischino c’acchiana a frievi a 40°. «Ti stai sbagliando chi hai visto non è, non è Francesca.

Lei è sempre a casa che aspetta me, non è Francesca. Se c’era un uomo poi, no, non può essere lei…». Intanto i fagiolini sono germogliati.

Sono diventati delle bellissime piante in cui si è creato un ecosistema a sé stante, dove proliferano microorganismi e piccole forme di vita.

Per fortuna dopo l’antipasto c’è il primo: bella pasta chi rizzi! Solo che torna lo chef: su queste cose è categorico. C’è il fermo biologico e proprio non si può. Ripiegheremo con due spaghi alle vongole.

Veraci? Ma dai, il mollusco è un concetto superato, demodé, d’Ancien Régime.

La svolta è il nido di spaghetti con la vongola fujuta, dove “fujuta” traducesi con “assenza di vongole”. Mangiare le vongole vere è volgare: si lasciano in mare. Il mare, appunto, è un concetto che nel piatto deve lasciare il segno proprio perché essente.

Riparte il vortice dei selfie, è un incubo senza fine. Dulcis in fundo, si chiude con un’anatra muta in umido. In un solo colpo apprendi due cose:
a) l’anatra può essere mure muta
b) l’anatra è commestibile.

La cena giunge a capolinea con un dessert ipocalorico gluten free e senza latticini, stampato con la stampante 3D. Arriva il conto. Non alcun c’è prezzo, c’è la foto del tuo direttore di banca che ride.

Completamente digiuno, ma felice di tornartene a casa, speri di non rivedere mai più nessuno dei presenti.

E mentre tutti durante il tragitto si ripetono che il prezzo è stato giusto perché si paga il percorso, si paga l’esperienza, te li immagini soffriggere dentro nell’olio bollente, come le panelle e le crocchè, perché anche quella sarebbe un'esperienza.

Rincasato, corri subito in cucina.

C’è un pezzo di pane, magari duro, un tocco cacio cavallo dell’epoca romana, un pomodoro a stricasale e due olivuzze nere annegate nell’olio di paese, che sono la fine del mondo.

Sei un uomo ricco e non lo sai. Ripensi a nonnò, aveva ragione lui: si manciava megghio, quannu si stava peggio.
Ti è piaciuto questo articolo?
Seguici anche sui social
Iscriviti alla newsletter
Cliccando su "Iscriviti" confermo di aver preso visione dell'informativa sul trattamento dei dati.

GLI ARTICOLI PIÚ LETTI